La lezione di tragedia di Mario Sironi
E’ una retrospettiva in grande stile la mostra Mario Sironi 1885-1961, inaugurata il 4 ottobre al Complesso del Vittoriano, dove rimarrà fino all’8 febbraio, e curata da Elena Pontiggia.
E’ una retrospettiva in grande stile la mostra Mario Sironi 1885-1961, inaugurata il 4 ottobre al Complesso del Vittoriano, dove rimarrà fino all’8 febbraio, e curata da Elena Pontiggia.
Novanta dipinti, bozzetti, riviste e un importante carteggio
col mondo della cultura del Novecento compongono un’esposizione che parte dalle
creazioni giovanili fino ad arrivare alle opere degli ultimi giorni per far
conoscere meglio un artista di statura europea, rimasto probabilmente
penalizzato dalla sua vicinanza al fascismo.
“Per me la sua pittura è una lezione di tragedia… Non c’è
pittore che valga i suoi quadri” scriveva Gianni Rodari, suo amico personale,
nonché suo vero salvatore in quanto impedì che Sironi venisse giustiziato in
una rappresaglia partigiana.
“L’Arte non ha bisogno di riuscire simpatica, ma esige
grandezza, altezza di principi” era il principio ispiratore di Mario Sironi che
aderì al fascismo nella speranza di esaltare la funzione educatrice della
creatività, votandosi a una fruizione popolare dell’opera d’arte attraverso la
pittura murale e il mosaico, democraticamente rivolti alla società nel suo
insieme. Lontano però dai compiacimenti opportunistici e dalla visioni
trionfalistiche della propaganda, il punto di vista sulla realtà di questo
originale artista è antigrazioso, enigmatico, perturbante, vicino alla ricerca
della verità storica, alla presa di coscienza del destino umano, alla scoperta
della caducità esistenziale e della fatica angosciosa dell’impegno quotidiano. I
suoi soggetti soffrono in una ieratica umiltà che si nutre di un’etica austera
e spesso disperata.
Poco incline alla retorica dei suoi anni e privo di velleità
eroiche, come quando decise di rimanere nella sua casa di Milano sotto i
bombardamenti per non lasciar morire da solo un pipistrello che vi aveva
trovato rifugio, Sironi rivisitò i modelli prerinascimentali, proseguendo la
lezione di Boccioni con virate espressioniste e incursioni sublimi nella
neometafisica.
Oltre venticinque bozzetti rappresentano la sua intensa collaborazione con la Fiat, insieme a tante copertine di riviste, proprio a conferma della sua intenzione di mettersi a servizio di un godimento collettivo dell’arte.
Un percorso di stupefacente ricchezza, per la quantità dei
materiali offerti al pubblico, rivela luci e ombre di un passato con cui
dobbiamo imparare a fare i conti come già accadde a questo artista dal respiro
internazionale.
Le mille facce di una personalità inquieta, in bilico tra fascinazioni e delusioni, fra esaltazioni e fallimenti, tra classicità e contemporaneità, ripropongono nelle sale del Vittoriano gli interrogativi senza risposta della nostra vicenda italica che oggi più che mai apre baratri profondi di insicurezza. Non a caso, l’ultima opera, autentico testamento spirituale, è proprio l’Apocalisse, datata 1961, proveniente da una collezione privata.
Le mille facce di una personalità inquieta, in bilico tra fascinazioni e delusioni, fra esaltazioni e fallimenti, tra classicità e contemporaneità, ripropongono nelle sale del Vittoriano gli interrogativi senza risposta della nostra vicenda italica che oggi più che mai apre baratri profondi di insicurezza. Non a caso, l’ultima opera, autentico testamento spirituale, è proprio l’Apocalisse, datata 1961, proveniente da una collezione privata.
Tra presentimento, delirio mistico e aspirazione all’altrove,
Mario Sironi diventa oggi più complice che mai della deriva solitaria,
lacerante e forse inevitabile di una nazione che avrebbe potuto essere
gloriosa.