Una strada fra mito, storia, cronaca e vita di tutti i giorni
E’ la strada la vera protagonista del monologo “Statale 106”, un viaggio verbale che percorre e descrive la Calabria come una regione segreta, misteriosa e arcana in cui prendono vita figure e personaggi senza tempo, uniti dalla comune appartenenza a una terra ancestrale che ha bisogno di trovare la sua voce scenica. E il dialetto calabrese originario, alternato con un italiano conquistato come una lingua straniera adatta solo alla comunicazione ufficiale, denuncia con la sua naturale violenza un luogo dominato dal potere di pochi che ottengono autorità e fama a discapito di altri.
La narrazione diventa allora mito classico per chiarire e spiegare l’odierna condanna all’inciviltà di un mondo che non conosce democrazia. Il cammino dell’affabulazione supera le cronologie e incontra virtualmente un’altra strada pericolosa, quella via di Baghdad che ha ospitato i tragici risvolti della liberazione di Giuliana Sgrena e in cui ha trovato la morte un eroe di oggi come Nicola Calipari, non a caso nato a Reggio Calabria.
La strada diventa il contenitore di tutte le storie raccontate: dalla Calabria all'Iraq, dall'America di Bush al meridione dei briganti, da Paride che prende Elena fino a Calipari che salva la Sgrena.
Come sempre nella tradizione orale e nell’arte del racconto, passato e presente si confrontano e fondono a dimostrare l’eterna battaglia dell’uomo contro una società che non riesce a contenerlo e finisce per sacrificarlo.
AL TEATRO PICCOLO ELISEO IL 22 MARZO 2010
ALL'ISTITUTO DI STUDI PIRANDELLIANI DI VIA BOSIO 15
Recupera la carica vitale e sincera del femminismo, ma diventa un meraviglioso omaggio alla più intima e segreta femminilità, lo spettacolo “Ho 40 anni e sono ancora mia”, scritto e diretto da Pino Ammendola per una radiosa e tenera, energica e commovente Maria Letizia Gorga.
La storia di una figlia che torna nel luogo in cui sua madre combatteva battaglie in favore dell’emancipazione, tenendola coraggiosamente in grembo, consente di mettere a confronto due generazioni fra il tentativo di conquistare diritti inalienabili e il rischio odierno di veder frantumato il significato profondo di tante lotte. La vicenda privata di un amore conflittuale e dolcissimo si incastona nella realtà collettiva dei fantastici anni Settanta in cui l’illusione di migliorare il mondo sembrava praticabile. L’atmosfera d’epoca e l’impatto con l’attualità sono garantite da un tessuto canoro in cui si intrecciano brani vintage e contemporanei, da Patty Pravo a Fiorella Mannoia, da Rino Gaetano a Mia Martini, tutti meravigliosamente eseguiti con duttilità e magia dalla calda e ancestrale voce della protagonista, in bilico fra una madre e una figlia e sempre comunque splendidamente emblema di tutte le donne.
Concepito da un uomo, che evidentemente conosce davvero le donne e le sa amare per quello che sono e dicono, quanto per tutto ciò che mascherano e nascondono, questo viaggio attraversa l’ultimo quarantennio con grazia ed eleganza di ritratti interiori, senza però trascurare la forza autentica di una denuncia sociale che induce a smuovere le coscienze intorpidite di oggi. Un itinerario gradevole e trascinante, diretto e consapevole, guida lo spettatore a ricordare il suo passato e a comprendere meglio il suo presente nel gioco straziante di specchi infranti che anima il rapporto più ancestrale della condizione umana, ovvero quello con la maternità. Esaltante per il pubblico femminile, ma straordinariamente toccante e coinvolgente anche per gli uomini più induriti dai prezzi pagati per la loro virilità, è un evento scenico da non perdere che riscatta una stagione romana debolissima.
L'avventura di due operai romani, impegnati di notte a innalzare un muro all'interno del palcoscenico di un teatro in disuso in modo da consentire l'estensione del supermercato confinante, si trasforma nel corso di un appassionante e imprevedibile sviluppo in una strenua e disperata difesa della cultura in un'epoca che privilegia esclusivamente le dinamiche commerciali. E’ il piccolo capolavoro “Muratori”, prodigioso frutto della drammaturgia del pavese Edoardo Erba, ormai pronto a superare un quinquennio di repliche e diventato un cult della scena nazionale. A incarnare le esilaranti, fulminee e travolgenti battute del copione, che vanta una dialetto romanesco di rara efficacia semantica nel restituire l'umorismo demistificante dei capitolini più veraci, è la coppia affiatata e ben assortita creata da Paolo Triestino e Nicola Pistoia per quest'occasione e diventata negli anni un autentico e collaudato sodalizio. La trovata geniale di scandire il tempo scenico con la reale costruzione di una barriera di mattoni e calcina, designata a materializzare l'arroganza di un cambio di destinazione d'uso che umilia la storia teatrale, orienta e canalizza la recitazione verso una spiazzante verità. Il sogno di poter acquistare un camion per l'autospurgo con i soldi guadagnati in quell'impresa segreta e scellerata si mescola alle aspettative deluse di due figure anonime che tentano invano di alimentare qualche speranza per il loro futuro. A scompigliare le carte interviene però l'epifania della signorina Giulia di strindberghiana memoria, un'anima pura partorita dalle viscere del teatro che propone a Germano, interpretato da un Nicola Pistoia perfettamente compenetrato nella natura di un uomo indeciso e frustrato, di fuggire con lei sul lago di Como, rinnovando la sua storia dopo un secolo. L'incredulità di Fiore, a cui Paolo Triestino regala accenti vigorosi di concretezza e ansia di riscatto sociale, finirà per infrangere ogni pietosa e catartica illusione, intaccando la solidarietà dell'amicizia e la validità di un progetto comune. Eppure, mentre il pubblico si abbandona giustamente a una valanga di risate di tutto cuore, si intuisce la possibilità del teatro di consegnarsi all'eternità.