Un taxi per doppia coppia in fuga
Il successo internazionale di K. Waterhouse e W. Hall Uscirò
dalla tua vita in taxi, al Teatro Ghione fino al 12 ottobre, si avvale
dell'adattamento e della regia di Pino Ammendola, un autore che di ingranaggi e
ritmi comici se ne intende bene da anni e ha ora deciso di offrire al pubblico
italiano una sua versione della nota e collaudata macchina scenica.
Complice un quartetto d’interpreti perfetto nei ruoli e
nelle dinamiche, formato da Franco Castellano, Maria Letizia Gorga, Maximilian
Nisi e Ketty Roselli, si anima un gioco di equivoci, scambi, colpi di scena e
soluzioni imprevedibili che mette in risalto la quintessenza del teatro
brillante.
Resta in piedi l’ambientazione inglese, con tanto di colonna
sonora dei Beatles, in una scenografia essenziale ed evocativa con cabina
telefonica rossa ed elenco degli abbonati d’epoca, affidando agli attori il non
facile compito di cimentarsi con uno stile vagamente d’altri tempi per
affrontare tematiche eterne come l’amore. Un appartamento prestato in segreto
per appuntamenti clandestini, un matrimonio perennemente in crisi per le
scappatelle del consorte e un legame che non s’ha da fare per timore di perdere
la propria libertà fra coniugi reali o inventati mescola le carte di una
partita a quattro senza vincitori né vinti. Solidarietà maschili e femminili si
creano e si distruggono in un profluvio incandescente di battute spietate anche
se mai volgari.
Franco Castellano sfodera i suoi toni aggressivi nel tentativo
di difendere il suo ruolo di marito fedifrago, Maria Letizia Gorga è esilarante
nei panni della moglie risentita che ben nasconde il suo cuore tenero in una
corazza di sdegno usata come un’arma, Maximilian Nisi rivela un’immagine
inedita nel look british messo a dura prova dai comportamenti dalle bugie della
giovane amante, una spumeggiante e carinissima Ketty Roselli, che costruisce un
castello di menzogne per evitare l’ufficialità delle nozze.
Il vero protagonista di tante rocambolesche avventure che si
succedono sul palco è certamente l’amore, sviscerato col sorriso in tutti i
suoi aspetti più bollenti e deflagranti. Ognuno si finge quello che non è,
ribalta la sua immagine nelle aspettative altrui, indossa maschere in cui non
si identifica. Il sentimento più nobile dell’uomo sposa la tecnica scenica in
un continuo dialogo di specchi deformanti che non restituiscono mai una sola
verità, ma le sue infinite e relative parcellizzazioni. Si ride tanto e poi si
rimane con un ghigno sul volto perché il finale non è conciliante: la doppia
coppia scoppia in moltiplicate solitudini e anche gli spettatori si riconoscono
inevitabili tentazioni da single.
Il delicato e nostalgico clima anglosassone, ben restituito
dalla drammaturgia e dalla recitazione, non basta ad allontanare le conseguenze
di questa ludica quanto profonda riflessione e lascia scoprire il disagio
comunicativo degli esseri umani di qualunque latitudine spaziale e di ogni
datazione temporale.
Vince ancora una volta la potenza immensa del teatro che ci
permette di immedesimarci con o senza catarsi.
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